Un uomo cresciuto in Africa mi raccontava come stare seduti su una sedia vicino ad un albero fosse, fino a qualche anno fa, il passatempo preferito delle persone del suo paese.
Gli alberi avevano una grande importanza perché davano ossigeno e frescura, riposavano la vista con il verde mai uguale delle loro fronde e, soprattutto, essendo vivi, comunicavano qualcosa a chi si sedeva semplicemente ai loro piedi.
Era bello, per gli africani, dopo una giornata trascorsa a lavorare la terra, prendere la sedia e sedersi vicino ad un albero.
Anche soli e in silenzio. Anzi, meglio.
Stare lì. Stare e semplicemente accettare lo spettacolo gratuito del sole che tramonta nell’immenso cielo africano e sentirsi parte di un tutto parlante e glorioso.
Oggi vorrei proporti di fare questo esercizio, se non riesci di più, anche solo cinque minuti: se il tempo è sereno, siedi vicino ad un albero e stai in silenzio ad ascoltare. Ascolta anche con lo sguardo, con la pelle, con tutti i tuoi sensi. Lascia a casa il telefono e stai lì. E’ un modo per ricominciare a prendere contatto con noi stessi, a perderci in quello da cui veniamo e di cui siamo fatti, a staccarci dall’ossessione di uno schermo che ci manda messaggi e immagini in maniera pressante o da quella di riempire il tempo con mille attività.
Anna
Sono un’educatrice, mi occupo di bambini disabili. Oggi vado in una in una scuola elementare, dove conosco Anna.
La piccola, piccolissima Anna non ha nulla. Non corpo utile, poca vista, niente parole. Però ha carattere. Fa capire cosa non vuole. Non vuole carezze sui capelli, non vuole carta assorbente in giro… lo fa capire con l’espressione arrabbiata e con piccoli versi che esprimono il suo fastidio.La prendo in braccio per posarla sul lettino e mi chiedo come possa a nove anni essere così piccola e mi chiedo anche che valore abbia la sua vita. Nel momento stesso in cui formulo questo pensiero mi è chiaro che la domanda non è meno urgente né meno misteriosa riguardo alla mia, di vita.
Mentre le metto il pannolino si inarca per facilitare l’operazione e io: Wow, Anna! Mito!
Come è opportuno parlarti? Sei così diversa e sconosciuta…
Eppure, sospetto che, come sempre, ci sia un modo molto serio per rapportarsi con te. E il coraggio di provarci
In bicicletta
Pedalava lungo il corso principale della sua città.
Era sabato sera e la strada era animata da tante coppie e comitive che si preparavano al divertimento di rito.
Inconsapevolmente, come sempre aveva fatto nella vita, dava un’etichetta a tutti quelli che incrociava nel suo procedere: bella ragazza, bietolone, nero contromano, vecchia befana…
Allo stesso modo, si era sempre chiesta quale etichetta la gente desse a lei e spesso temeva che non sarebbe stata delle più lusinghiere.
Arrivata al semaforo della via che portava a casa sua, fu fermata oltre che dal rosso, da un pensiero inedito: come sarebbe interessante guardare la gente, ciascuna persona, con curiosità! Chissà quante cose nuove potrei scoprire, anche solo guardando gli altri per conoscerli e non in funzione di me, come fossero uno specchio…
Le sembrò davvero che le luci del centro, così allegre ma incapaci di respingere, se non per un breve, illusorio attimo, il buio silenzioso della sera, avessero uno scintillio diverso, più caldo ed accogliente.
E quando più tardi, si trovò a chiacchierare con le amiche, la serata si rivelò davvero interessante.
L’insegnamento di Filippo
Questa è una newsletter che ho indirizzato a me stessa qualche mese fa e mi fa piacere condividerla qui, su questo sito:
“Cara Alessandra, buongiorno.
Desidero complimentarmi con te per come hai vissuto questa settimana. Non preoccuparti se qualche volta sei caduta nell’errore di abbatterti, di pensare che qualcosa sia contro di te. Sei ancora giovane nel tuo cammino di presa di coscienza di quanto l’Amore sia potente e presente e bello. Fai fatica ancora a ricordarti come tutto sia per te, a tuo favore come un vento che soffia alle spalle della tua barchetta. Ma stai camminando e i segni ci sono, e arrivano immancabilmente.
Oggi voglio che tu ti ricordi di Filippo.
Filippo è piccolo e insignificante. In effetti, uno degli ultimi in tutto.
Filippo non sa fare niente. Non parla, non mangia da solo, vive da venticinque anni su una carrozzina. Però sa sorridere, con la bocca larga e con gli occhi grandi e luccicanti. Questi sorrisi li regala soprattutto quando gli si parla delle sue passioni: la musica e le uscite con gli amici.
Due settimane fa Filippo ci ha fatto una sorpresa davvero spiazzante: è morto.
Al suo funerale hai ricevuto un ricordino. Davanti un primo piano del suo volto sorridente e dietro la scritta: “Facile! Sorrido e sono felice.”
E tu sei stata brava a ricordarti queste parole anche quando la depressione e l’odio di te stessa, nella difficile settimana appena trascorsa, sembravano prendere il sopravvento.
E così, pian piano è come se le parole del ricordino, come un raggio di sole, si fossero fatte strada nella caligine della tua tristezza e delle cose “cattive” che gli altri ti possono avere fatto (spinti solo dalla loro paura, ricordalo).
Ricordati anche di volerti bene e che sei bellissima, splendente e radiosa. Il tuo cuore pieno d’amore lo è. Il tuo sorriso invincibile lo è.
Ciao, ti abbraccio
tua te”
L’AMORE CHE NUTRE IL CERVELLO
Uno dei miei bambini, E., di sette anni è ribelle come un adolescente. Si avverte nel modo in cui si comporta che sta cercando uno spazio di libertà.
Si interroga, probabilmente, su tante cose ed è già arrivato alla conclusione che gli adulti non dicono sempre la verità, oppure che il modo in cui gli adulti affrontano le cose non è poi il migliore, secondo lui.
Stamattina, mentre accompagnavo a scuola lui e i suoi fratelli, mi sono accorta che aveva agganciato correttamente solo la cintura di sicurezza, non l’adattatore.
Gli ho chiesto come mai e lui mi ha risposto che non gli piace.
A questa risposta è seguito un mio rimprovero, ma mentre lo riprendevo mi chiedevo tra me e me se fosse efficace il modo in cui stavo intervenendo.
Mi è venuta l’idea che forse ha bisogno di spiegazioni, perché è un bambino intelligente che si fa tante domande e, probabilmente, anche il suo essere ribelle esprime un bisogno di risposte che spesso non trova.
Per questo motivo, quando ho arrestato l’auto perché eravamo arrivati a scuola, gli ho detto di non sganciarsi la cintura e di non scendere e gli ho mostrato in pratica cosa accadrebbe se, a causa di una frenata brusca la cintura venisse tesa ed E, sbalzato in avanti, senza adattatore: la cintura stringerebbe con violenza il collo del bambino. Con l’adattatore, invece, l’impatto della cintura avverrebbe correttamente all’altezza della sua spalla.
Di tutta questa vicenda, ciò che mi ha colpito è stato che, quando ho finito la mia spiegazione E. ha sorriso, mentre prima, durante tutti i miei rimproveri, continuava a tenere il broncio.
Questo sorriso mi ha fatto capire che la cosa migliore da fare con i bambini e, in generale quando si desidera educare qualcuno è prendersi il tempo per spiegare le cose.
A volte il tempo non c’è ed è necessario forzare perché tutti facciano la cosa migliore per evitare rischi, ma, al di là di queste situazioni di emergenza, dare le ragioni è sempre la cosa migliore. Manda un messaggio potente al bambino: ti stimo, ti considero capace di capire come funzionano le cose e di prenderti una responsabilità, ti dedico tempo. In pratica: ti voglio bene.
Fa crescere più di un concentrato di vitamine.